Wayne Rainey, 27 anni fa l’incidente a Misano 1993 con la Yamaha 500 | Gazzetta.it

2023-03-08 16:39:49 By : Mr. Tong Stephen

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Il 28 agosto 1990 il trentenne americano di Los Angeles Wayne Rainey diventava campione del mondo della classe 500. Era lui, da sempre pilota Yamaha, il nuovo Re del motociclismo. Il Corriere della Sera titolava: “Rainey, segni particolari: non cade mai”. In effetti in tutta la carriera era andato a terra solo quattro volte. Un campione d’attacco, con la baionetta in canna, al contempo “chirurgico”, straordinariamente corretto con gli avversari ed efficace nel tempo sul giro e nel passo, puntando al risultato finale che quasi sempre arrivava con il gradino più alto del podio. Insomma, un fuoriclasse. Poi, tre anni dopo, in testa alla corsa e lanciato a tre gare dal termine alla conquista del suo quarto titolo mondiale consecutivo, il maledetto pomeriggio del GP d’Italia a Misano del 5 settembre 1993, dodicesima delle quattordici tappe iridate, con la caduta alla seconda curva (all’epoca si girava in senso antiorario) che gli procurò la frattura della colonna vertebrale e la conseguente paralisi delle gambe. Una caduta apparentemente “normale”.

Nel tratto finale della curva Rainey apre il gas per scaricare a terra tutta la potenza della sua Yzr500, che però lancia il pilota in aria. Rainey viene centrato sulla schiena dalla moto e poi, ricadendo, sbatte violentemente su un cordolo. Attimi di tensione e di terrore. La gara non viene interrotta. Il pilota giace esanime. Quindi le prime cure, la corsa nel servizio medico del paddock, l’ospedale, la via crucis, la resurrezione. Così Rainey, con Schwantz il più forte pilota del Mondiale tra la fine degli Anni ’80 e gli inizi degli Anni ’90, è costretto a dire addio alle corse e ad iniziare una vita sulla sedia a rotelle. Quella gara di Misano su cui scese la cappa delle giornate funeste fu vinta dal compagno di squadra di Rainey Luca Cadalora davanti a Mick Doohan (Honda) e a Kevin Schwantz (Suzuki) - aveva incrociato le lame con Wayne fin dai tempi delle Superbike in America - che alla fine conquistò il titolo. Sia lo schivo finisseur modenese Cadalora sia il vulcanico texano occhi di ghiaccio Schwantz presero di malavoglia la coppa di quella vittoria e quella corona iridata.

La Signora in nero non aveva affondato la sua lama, ma con i suoi denti verdi aveva tolto per sempre a Wayne il sorriso che solo le corse gli sapevano dare, vera sua ragione di vita. Forte com’era, nel fisico come nel carattere, Rainey non si è fatto però piegare dal destino avverso, impegnandosi a tempo pieno e sempre con la stessa passione e capacità, come Team manager (nel Motomondiale dal 1994 al 1998 con la sua squadra Yamaha Team Rainey) e come organizzatore (dal 2014 promoter del campionato MotoAmeriche Superbike), oltre a pilotare da matto qualsiasi mezzo con un manubrio e un motore. “Il motociclismo, le corse, la moto, mi hanno dato tanto e il destino non mi ha tolto il rispetto e l’amore che sin da ragazzo a oggi che ho ormai 60 anni ho sempre provato per loro”, dice Wayne a voce bassa e con gli stessi occhi brillanti di quando faceva le sue staccate a vita persa infilando gli avversari. Resta, però, la beffa. Per quella caduta non provocata da un errore del pilota e soprattutto per le conseguenze di quella caduta. Polemiche a non finire: cordolo eccessivamente alto?, ghiaia scomposta?, asfalto traditore per la pioggia caduta tutta la notte precedente la gara, fino all’alba? Sono le corse, si disse. E si dice così ancora oggi.

Comunque, davanti a Wayne Rainey giù il cappello: in pista dal 1984 al 1993, 3 mondiali 500 vinti, 95 gare disputate, 24 vittorie, 65 podi, 16 pole position, 23 giri veloci. Scusate se è poco. Rainey faceva parte della “covata d’oro” dei corridori americani giunti come cow-boy in Europa e nel Mondiale 1974 con “King” Kenny Roberts, il texano dai modi rudi e dalla manetta usata come da Raffaello il pennello, primo americano campione del mondo dopo i trionfi nel flat-track negli Usa. Poi Eddie Lowson (l’americano di ghiaccio più vincente con quattro titoli 500); Freddie Spencer (magico quanto lunatico, il più giovane vincitore della 500, iridato a 21 anni!); Kewin Schwantz (cavallo pazzo, uomo Suzuki, l’anti Rainey per eccellenza, un Mondiale solo, forse anche perché gli piaceva più correre per l’applauso che per la vittoria); Randy Mamola (il “sempre secondo” gran manico sregolato della 500); Nicky Hayden (l’ultimo campione del mondo yankee, titolo soffiato a Valentino Rossi).

Rainey è stato stella fra queste stelle. La moto e le corse gli sono rimaste in testa e nel cuore. A novembre 2019, 26 anni dopo l’incidente di Misano, Rainey è tornato in sella, in pista a Suzuka con una Yamaha R1 modificata, “scortato” da Kenny Roberts ed Eddie Lawson. Una gran festa. Una prova, l’ennesima, della volontà di un pilota e di un uomo che hanno saputo reagire al fato avverso, rialzandosi. Sono passati 27 anni da quel triste pomeriggio e oggi Misano è pronto per il doppio appuntamento iridato del 13 e del 20 settembre prossimi. Che festa sia!, anche con i limiti imposti dal Coronavirus. E che qualcuno ricordi quel 5 settembre del ’93, nel nome di Rainey e di tanti altri piloti grandi quanto sfortunati, con la volontà di ripartire. Sempre.

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